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lunedì 7 febbraio 2011

just... Nina


Eunice Kathleen Waymon conosciuta come Nina Simone (21 febbraio 1933 - 21 aprile 2003) fu una cantante, autrice e pianista americana nonché attivista per i diritti civili.

Cantante jazz, era un’artista eclettica che sapeva svariare tra gli stili soul, R&B, folk e gospel.

Nasce a Tryon nel North Carolina, sesta di otto figli, bambina rivela un talento, che la porta a suonare e cantare in chiesa con le due sorelle (“Waymon Sisters”). Ma il pregiudizio razziale del profondo sud negli anni ‘40 l’ha condizionata per molto tempo, in quanto estremamente radicato nelle comunità locali e motore di spiacevoli eventi.

Prende lezioni di piano, pagate dalla comunità di colore locale, che promuove una fondazione per consentirle di proseguire gli studi musicali a New York. Nei primi ‘50 lavora come pianista-cantante in vari club, ispirata da Billie Holiday, si orienta verso il jazz, cambia il suo nome in Nina Simone ed esegue il brano I loves you, Porgy, cover di un brano di George Gershwin.

Il suo album di debutto datato 1958 comprendeva I loves you, Porgy e My baby just cares for me. Ha lavorato per parecchie case discografiche mentre, a partire dal 1963, ha iniziato a lavorare stabilmente con la “Philips”. È in questo periodo che ha registrato alcune delle sue canzoni più incisive come Old Jim Crow e Mississippi Goddam, che sono divenute inni per i diritti civili. Era amica ed alleata di Malcolm X e di Martin Luther King.

Nina Simone lasciò gli Stati Uniti verso la fine degli anni ‘60, accusando sia il FBI che la CIA di scarso interesse nel risolvere il problema del razzismo. Negli anni successivi girò il mondo, vivendo alle Barbados, in Liberia, in Egitto, in Turchia, in Olanda ed in Svizzera.

In seguito al polemico abbandono dell’America, i suoi album sono usciti raramente. Nel 1974 la Simone abbandona per qualche anno la discografia, lasciando poche notizie di sé. Ritorna nel 1978 con un album, che prende il titolo da un brano di Randy Newman. Si eclissa di nuovo, fino agli ‘80.

Dopo che Chanel ha usato la sua “My baby just cares for me” per un annuncio alla televisione, molti hanno riscoperto la sua musica e lei si è trasformata in una’icona del jazz degli anni’80. Nel 1987, la Simone entra nelle classifiche inglesi con quel brano di quasi trent’anni prima. Si moltiplicano antologie e ristampe dei suoi dischi. Dopo i successi ottenuti negli anni ‘80, torna con uno nuovo album Nina’s Back del 1989, seguito da Live & Kickin’, live registrato qualche anno a San Francisco.

La cantante si è sposata due volte, ha avuto una figlia ed ha vissuto una vita difficile e travagliata. Ha avuto rapporti difficili con uomini potenti e violenti, ad esempio picchiata dal suo manager e marito. Ha avuto una relazione con Earl Barrowl, Primo Ministro delle Barbados. Nel 1980 il suo secondo marito C.C. Dennis, un importante politico locale, è stato ucciso da un criminale.

Intorno alla sua vita privata circolano comunque decine di aneddoti. Pare che abbia annullato un concerto a Londra senza avviso perché "turbata" per una ferita occorsa al suo cane: o che, nel 1988, abbia chiuso un meeting tirando un coltello. Nel 1996, invece, è stata spiccata contro di lei una sentenza dai magistrati francesi per avere sparato in aria con un fucile, allo scopo di spaventare due ragazzi che giocavano nella piscina di una villa accanto alla sua. Ma Nina Simone ha comunque continuato a proporre performance memorabili, l'ultima delle quali in Gran Bretagna nel mese di agosto 2001 al Festival di Bishopstock. Anche se ha ammesso pubblicamente di esibirsi soltanto per soldi, è stata acclamata dal pubblico ancora una volta con enorme calore.

Sopravvissuta alla figlia, Nina muore a 70 anni il 21 aprile 2003 (tumore al seno).

Un altro video si un brano tratto dal suo album d'esordio (capolavoro!) "LITTLE GIRL BLUE", questa è
"Love or leave me" versione live al piano: http://www.youtube.com/watch?v=4sAbW0ONRBU

domenica 14 febbraio 2010

una canzone: 'Povera Patria'

di Franco Battiato
dall'album: "Come un cammello in una grondaia", 1991

"Povera patria! Schiacciata dagli abusi del potere
di gente infame, che non sa cos'è il pudore,
si credono potenti e gli va bene quello che fanno
e tutto gli appartiene.

Tra i governanti, quanti perfetti e inutili buffoni
Questo paese è devastato dal dolore...
ma non vi danno un po' di dispiacere
quei corpi in terra senza più calore?

Non cambierà, non cambierà
no cambierà, forse cambierà.
Ma come scusare le iene negli stadi e quelle dei giornali?
Nel fango affonda lo stivale dei maiali
me ne vergogno un poco, e mi fa male
vedere un uomo come un animale.

Non cambierà, non cambierà
si che cambierà, vedrai che cambierà.

Si può sperare che il mondo torni a quote più normali
che possa contemplare il cielo e i fiori,
che non si parli più di dittature
se avremo ancora un po' da vivere...
La primavera intanto tarda ad arrivare"

Videolink: http://www.youtube.com/watch#playnext=1&playnext_from=TL&videos=l7yt_v7o7u0&v=3UUS65a1c6Y
(video del concerto tenuto a Palermo nel 1992, nell'evento "Giù la testa" in memoria dei giudici Falcone e Borsellino)

domenica 20 dicembre 2009

una canzone: 'Up Patriots To Arms'

di Franco Battiato, dall’album Patriots del 1980
Franco Battiato è uno dei più grandi cantautori dei giorni nostri, con un fascino unico e un fare musica particolarissimo, dettato dalla sua abbondantissima cultura e dal cinismo che da sempre lo caratterizza.
Nasce a Jenia(Catania) il 23 marzo 1945 , all'eta di 20 anni si trasferisce a Milano, dove compone i suoi due primi singoli rivolti a un giornale di enigmistica che allegava dischi di giovani cantanti poco conosciuti come manovra pubblicitaria. Due anni dopo, chiude un contratto con la casa discografica jolly, inserito da Gaber.I nel ’67 e grazie al quale scrive i suoi primi singoli di protesta, data la moda spuntata nell'ano corrente. Insieme allo stesso Gaber compone la celebre "e allora dai" presentata al festival di Sanremo (quando ancora questo festival era un vero e proprio ritrovo di musica italiana..e non una gara di ascolti con la mediaset).
E' nel 1968 che abbandona la Jolly e con lei anche il genere di protesta, per firmare un contratto con la Philips, ritrovando insieme a questa casa editrice il genere romantico... Tra le varie di questo periodo è sicuramente da annotare la sua partecipazione al "disco per l'estate" (l'antenato di hit mania dance o di tutta quella robaccia che oramai spacciano per musica). Passati questi due anni di romanticismo, è qui che forse comincia ciò che contraddistingue questo poeta da altri cantanti: difatti è nel 1970 che pubblica un disco di MUSICA PSICHEDELICA "Osage Tribe" insieme all'omonimo gruppo. Unico album di questa band, ma di certo non inosservato..basti pensare che il disco raffigurava una bambina che perdeva sangue dalla bocca...ebbe un successo elevatissimo...
Dal '71 si dedica alla musica sperimentale, unendosi alla compagnia BLA-BLA con la quale incide uno dei dischi maggiormente conosciuti di quell'epoca: Fetus (1972), rappresentante un feto umano che non tardò ad essere censurato (una curiosità è che una canzone scritta in quegli anni intitolata Propriedad Prohibida e scritta nel '74 è ancora oggi sigla del tg2 dossier).
Nel 1976 si unisce alla Ricordi, dove scrive musica L’AVANGUARDIA COLTA, con dischi che presentano poche canzoni, tra cui uno intitolato proprio Battiato, lunghe ciascuna fino a venti minuti. Questi album non hanno riscosso grande successo, ma tuttavia sono stati apprezzati dai critici..
Licenziato dalla Ricordi e preso al volo dalla EMI, nel 1979 inizia il vero successo del grande Franco Battiato, con album noti a tutti quali: L'era del cinghiale bianco (proprio nel '79), orizzonti perduti, l'arca di noè, un cammello in una grondaia,..una lunghissima discografia fino ad arrivare agli ultimi usciti, tra cui ferro battuto del 2001, 10 stratagemmi del 2004, il vuoto del 2007, inneres auge di poche settimane fa…

(introduzione con un frammento dall'overure del Tannhäuser di Richard Wagner)
La fantasia dei popoli che è giunta fino a noi
non viene dalle stelle
Alla riscossa stupidi che i fiumi sono in piena
potete stare a galla
E non è colpa mia se esistono carnefici
se esiste l'imbecillità
se le panchine sono piene di gente che sta male

Up patriots to arms, Engagez-Vous
la musica contemporanea, mi butta giù

L'ayatollah Khomeini per molti è santità
abbocchi sempre all'amo
le barricate in piazza le fai per conto della borghesia
che crea falsi miti di progresso
Chi vi credete che noi siam, per i capelli che portiam?
noi siamo delle lucciole che stanno nelle tenebre.

Up patriots to arms, Engagez-Vous
la musica contemporanea, mi butta giù

L'Impero della musica è giunto fino a noi
carico di menzogne
mandiamoli in pensione i direttori artistici
gli addetti alla cultura
E non è colpa mia se esistono spettacoli
con fumi e raggi laser
se le pedane sono piene
di scemi che si muovono…

Up patriots to arms, Engagez-Vous
la musica contemporanea, mi butta giù.

Link al video: http://www.youtube.com/watch?v=8ZJ4dLLvu2s

una canzone: 'Godi'

di Faust’O, dall’album “Suicidio” del 1978

Datevi come sfondo una strada di città, lunga e diritta; è notte, dall'alto le luci gialle dei lampioni sono sfumate dalla nebbia e dai gas di scarico. Macchine in coda, sguardi inespressivi, cattiverie palesi o celate. Un trillo cattivo, un pianto di bimbo, una risata diabolica: ecco 'Suicidio' opera prima di Faust'o al secolo Fausto Rossi.

Siamo sempre dalle parti del maledetto 1978 e il puzzo che ammorba l'aria è davvero forte. "Non aprire la finestra non ho voglia di sentire quello che hanno da dire. Non mandarmi giù con loro, no!" declama l'autore nella title track, sorretto da una melodia lavata nel punk e nel Bowie berlinese. Sì: c'è un no-future che esce prepotente dai solchi. Il mondo nuovo è alle porte e non promette niente di buono, il passato è un deserto che non dà più parole d'ordine; il presente è un mercato avrebbe detto qulcun'altro qualche anno dopo. Che resta? Godere, forse. Perchè 'è la perversione la tua ultima occasione', la chiave per sfuggire a una nuova omologazione. Ma siamo lontani anni luce dal 'libero amore', dalle utopie da Parco Lambro, dal 'liberi tutti'. Il sesso è costrizione, rinuncia, incognita. Non esiste la piazza, le città sono attraversate da 'Bastardi' "vigliacchi come rasoi", da rifiuti umani che aspettano la notte per vomitare sangue sui 'figli della merda' che intasano il giorno. E Faust'o canta, urla, sibila, declama, graffiante e dolente, sempre perfettamente plausibile, sopra partiture che hanno ormai poco a che fare con la canzone italiana ma si spostano piuttosto verso un punk distratto (Il mio sesso), un rock gelido (Bastardi; Benvenuti tra i rifiuti), e follie varie (Godi; Eccolo qua) che si evolveranno nei dischi immediatamente successivi in una personalissima new wawe.

Un esordio d'eccezione per un autore del tutto particolare nel panorama italiano all'interno del quale è sinceramente difficile trovare similitudini. Le assonanze vanno piuttosto ricercate nel mondo anglosassone, non solo musicalmente, ma anche per l'interpretazione e il modo di porsi, lontani anni luce dal 'bel canto' e dall'austerità quasi impacciata di molti nostro autori.

(recensioni Debaser)


E' la perversione, la tua ultima occasione

la corretta soluzione di una vita vissuta a metà

Succhia con prudenza le mammelle della scienza

questa cosmica demenza, sostituto di mamma e papà

Striscia.... ai margini del tempo, davanti ai compromessi

la fiera degli eccessi ormai non rende più.

Piscia.... sui miti del potere, rinnega la cultura

adesso fa paura spaventati anche tu

Ma non farti mai vedere, dietro i banchi di una chiesa

mentre ti masturbi in allegria.

Non usare il coito anale, per il gusto di far male

fai l'amore con malinconia.

Se ci pensi è più che giusto sia così

Il regime del consenso è tutto qui!

Godi, però di nascosto, nel cesso, nel bosco.

nell'ultimo posto in cui Dio ti vedrà!

No, non farti problemi, nascondi le mani

nel mondo dei nani sei grande anche tu!

E vergognati alla sera mentre dici una preghiera

della voglia di bestialità

Se ci pensi è più che giusto sia così

Il regime del consenso è tutto qui!

Non avere freni, sputa tutti i tuoi problemi

la cloaca degli schemi ha gli antidoti adatti per te

Ma la perversione getterà la disperazione

sugli autori del copione perché lì la tua parte non c'è

Godi, però di nascosto, nel cesso, nel bosco.

nell'ultimo posto in cui Dio ti vedrà!

No, non farti problemi, nascondi le mani

nel mondo dei nani sei grande anche tu!

Ma non farti mai vedere con stivali e calze nere

se una vecchia troia tu non sei!

Non provare inclinazioni, non avete tentazioni

che non si accontentino di lei!

Dalla gabbia puoi uscire se ti và

Ma soltanto senza la verginità!

Godi, davanti ai borghesi, corrotti ed obesi

davanti alla fabbrica della pietà

Godi, sul muso dei vecchi, vestiti da specchi

e ridigli addosso la tua libertà!

Prendi a calci le paure, quelle vecchie macchie scure

che ti han fatto sporco come sei

Dalla gabbia puoi uscire se ti và

Ma soltanto senza la verginità!

Oh, anch'io ho una donna

è l'ultima sponda per controllare le mie verità

Godo, però di nascosto, nel cesso nel bosco

nell'ultimo posto in cui Dio mi vedrà!


link al video: http://www.youtube.com/watch?v=Vhm3S9l0HFs

martedì 10 novembre 2009

una canzone: 'Il gigante e la bambina'

scritto da Paola Pallottino e Lucio Dalla per il giovanissimo Ron, nel 1971
Dalla, grandissimo paroliere...

c'è chi sostiene che il brano tratti di pedofilia, ma io lo trovo abbastanza versatile e mi piace pensare che a trarre in inganno sia solo l'estrema tenerezza di una storia 'sbagliata', forse perchè prematura.


Il gigante e la bambina, sotto il sole contro il vento
in un giorno senza tempo camminavano tra i sassi
camminavano tra i sassi

il gigante e' un giardiniere la bambina e' come un fiore
che gli stringe forte il cuore con le tenere radici
con le tenere radici con le tenere radici.

E la mano del gigante su quel viso di creatura
scioglie tutta la paura, e' un rifugio di speranza
e' un rifugio di speranza e' un rifugio di speranza.


Del gigante e la bambina si e' saputo nel villaggio
e la rabbia da' il coraggio di salire fino al bosco
di salire fino al bosco, di salire fino al bosco

Il gigante e la bambina li han trovati addormentati
falco e passero abbracciati come figli del signore
come figli del signore come figli del signore.

Ma i gigante adesso è in piedi, con la sua spada d’amore

E piangendo taglia il fiore, prima che sia calpestato

Prima che sia calpestato, prima che sia calpestato

Camminavano tra i sassi, sotto il sole contro il vento
in un giorno senza tempo…il gigante e la bambina
il gigante e la bambina, il gigante e la bambina…


Link al video: http://www.youtube.com/watch?v=ARV1fgxZVK4&feature=related

una canzone: 'Un uomo'

di Eugenio Finardi (dall'album “Occhi”, 1996)

Lei non lo sapeva ma aspettava un Uomo…che la scuotesse proprio come un tuono
Che la calmasse come un perdono, che la possedesse e fosse anche un dono

Era tanto tempo che aspettava l'Uomo che la ipnotizzasse solo con il suono
Di quella sua voce dolce e impertinente che proprio non ci poteva fare niente

Che la fa sentire intelligente, bella, porca ed elegante
Come se fosse nuda tra la gente, ma pura e santa come un diamante

Un Uomo dolce e duro nell'Amore, che sa come prendere e poi dare
Con cui scopare, parlare e mangiare e poi di nuovo farsi far l'Amore

Per seppellirsi tutta nell'odore che le rimane addosso delle ore
Che non si vuole mai più lavare per non rischiare di dimenticare

Che le ricordi che sa amare, un Uomo che sappia rassicurare
Che la faccia osare di sognarsi come non é mai riuscita ad immaginarsi

Un Uomo pieno di tramonti, di istanti, di racconti e d'orizzonti
Che ti guarda e dice: "Cosa senti?" come se leggesse nei tuoi sentimenti

Un Uomo senza senso, anche un po' fragile ma così intenso
Con quel suo odore di fumo denso, di tabacco e vino e anche d'incenso

Impresentabile ai tuoi genitori, così coerente anche negli errori
Proprio a te che fino all'altro ieri ti controllavi anche nei desideri

Tu che vivevi nell'illusione di dominare ogni tua passione
Tu che disprezzavi la troppa emozione come nemica della Ragione

Non sei mai stata così rilassata, così serena ed abbandonata
Così viva e così perduta, come se ti fossi appena ritrovata

Con un Uomo senza senso, anche un po' fragile ma così intenso
Con quel suo odore di fumo denso, di tabacco e vino e anche d'incenso

Un Uomo dolce e duro nell'Amore, che sa come prendere e poi dare
Con cui scopare, parlare e mangiare e poi di nuovo farsi far l'Amore

Link al video: http://www.youtube.com/watch?v=Mc0rrOyWlQ4&feature=related

lunedì 9 novembre 2009

una canzone: 'Il pescatore'

Estate 1970. Il disco fu un successo enorme e lo sentivi suonare dappertutto: alla radio (c'erano solo le tre reti della RAI), nei juke-boxes, e nelle case.

Ne "Il pescatore" si vede la figura di Gesù che, rivoluzionando leggi e pensieri, si mette dalla parte della vittima (l’assassino in fuga): Faber usciva dai binari anche nel campo della fede. Ma anche Gesù usciva clamorosamente fuori dai binari della fede, prima di tutto, nel contesto ebraico: ad esempio, stravolge completamente il concetto di giustizia divina (fino ad allora francamente intesa come tribunalizia), inserendo invece in essa dei criteri inauditi come il perdono, la carità e una giustizia basata su un'autentica comprensione dell'altro.
Dunque il "Pescatore" è una sorta di parabola evangelica: partiamo già dal fatto che nella simbologia cristiana il pescatore ci ricorda che Gesù scelse gli Apostoli quasi interamente tra pescatori, ai quali disse che li avrebbe resi "pescatori di uomini", lui è il pescatore. Nel brano c’è il messaggio che in Dio a volte ci si imbatte anche se non lo si va a cercare: l’assassino, nella sua fuga, si trova a fermarsi e ad aver bisogno di un pezzo di pane e un sorso di vino. A questo punto, il ricorso alla simbologia evangelica (nella canzone si "versa il vino e si spezza il pane" e questa è l'Eucaristia...) è praticamente naturale, se, naturalmente, lo si vede nell'ottica rivoluzionaria che è comunque tra gli intenti del poeta.

La giustizia umana viene soverchiata: il fuggitivo si sfama, si disseta e riceve un momento d'attenzione e d'importantissimo calore.

La storia di questo testo sembra proprio una parabola del Vangelo. Di un Vangelo laico, senz'altro. "Laico", si badi bene, non come contrapposto a "religioso" o "divino"; "Laico" come "popolare" (laós). De André appare qui come un vero interprete di un certo tipo di coscienza popolare, che ha sempre visto la "giustizia" -umana, ma, spesso, anche "divina"- esclusivamente come un'oppressione.

De André ha un rapporto continuo e sicuramente denso con Dio, solo che, per lui, è scevro di divinità. Gli ha tolto tutte le aureole per ricondurlo, appunto, sulla Terra. E questo fin dagli inizi: non vuole "rubare le chiavi del cielo", ma la felicità e la giustizia le vorrebbe qua su questo stramaledetto pianeta. La Divinità è tirata giù dal cielo, e forse non si è mai capito abbastanza che, così, non sarebbe meno "divina"; anzi, forse, lo sarebbe ben di più.

In tutto questo la figura del pescatore è (oltre a quella di Gesù) anche quella di un vecchio stanco, sfinito, magari anche un po' rimbambito, che aspetta il tramonto sulla riva del mare, senza temere piu' nulla e senza giudicare piu' nulla. Un pescatore, l'unico proletario, l'unico lavoratore, che non possiede, e non possederà mai, la fonte della sua sussistenza: il mare.

Quel vecchio dal viso solcato dalle rughe vede nell'assassino in fuga solo un disgraziato che gli chiede un po' di pane, e glielo offre volentieri, senza approfondire niente, e senza dare nessun particolare significato alla cosa…regalandogli -senza manco saperlo- un momento di calore umano e di nostalgia di una vita "normale" ormai perduta. Alle domande incalzanti dei gendarmi il vecchio e' semplicemente indifferente, un po' perche' non si e' nemmeno reso conto bene che il tizio fosse in fuga, un po' perche' le dinamiche della societa', della giustizia e dell'autorita' non gli interessano piu', fa fatica a capirle e le trova vacue e artefatte... Forse il fatto che il solco lungo il viso ci sia prima e dopo allo stesso modo, vuole dire proprio che da quelle vicende e' stato segnato molto poco.

Un uomo, che contro il potere non riesce ad opporre altro che il suo silenzio. Tanto, il potere, la sua lingua non la comprende.


All'ombra dell'ultimo sole s'era assopito un pescatore
e aveva un solco lungo il viso come una specie di sorriso.
Venne alla spiaggia un assassino due occhi grandi da bambino
due occhi enormi di paura eran gli specchi di un'avventura.
E chiese al vecchio dammi il pane ho poco tempo e troppa fame
e chiese al vecchio dammi il vino ho sete e sono un assassino.
Gli occhi dischiuse il vecchio al giorno non si guardò neppure intorno
ma versò il vino e spezzò il pane per chi diceva ho sete e ho fame.
E fu il calore di un momento poi via di nuovo verso il vento
poi via di nuovo verso il sole dietro alle spalle un pescatore.
Dietro alle spalle un pescatore e la memoria è già dolore
è già il rimpianto di un aprile giocato all'ombra di un cortile.
Vennero in sella due gendarmi vennero in sella con le armi
chiesero al vecchio se lì vicino fosse passato un assassino.
Ma all'ombra dell'ultimo sole s'era assopito il pescatore
e aveva un solco lungo il viso come una specie di sorriso

e aveva un solco lungo il viso come una specie di sorriso


Link al video: http://www.youtube.com/watch?v=1JQgNJdVDvk

domenica 8 novembre 2009

una canzone: 'Fiume Sand Creek'

…su Faber ci sarebbe da scrivere un libro per ogni argomento che si apre…. A mio avviso è uno dei personaggi più intensi, brillanti e poliedrici che il mondo intero ha avuto l’onore di avere.

Fabrizio è uno zio, un fratello, un amico, un uomo molto colto, sensibile e attentissimo, che ha vissuto la sua carriera ai margini della popolarità; Fabrizio è la canzone d’autore italiana. E non ce n’è per nessun altro.

<<Ha stravolto i canoni della canzone italiana con le sue ballate, sempre sospese tra mito e realtà. E ha sfidato gli arroganti di ogni tempo con il linguaggio sferzante dell'ironia. Senza mai cedere alle leggi del branco. Profondamente influenzato dalla scuola d'oltre Oceano di Bob Dylan e Leonard Cohen, ma ancor piu' da quella francese degli "chansonnier" (Georges Brassens su tutti), e' stato tra i primi a infrangere i dogmi della "canzonetta" italiana, con le sue ballate cupe, affollate di anime perse, emarginati e derelitti d'ogni angolo del mondo. Il suo canzoniere universale attinge alle fonti piu' disparate: dalle ballate medievali alla tradizione provenzale, dall'"Antologia di Spoon River" ai canti dei pastori sardi, da Cecco Angiolieri ai Vangeli apocrifi, dai "Fiori del male" di Baudelaire al Fellini dei "Vitelloni". Temi che negli anni si sono accompagnati a un'evoluzione musicale intelligente, mai incline alle facili mode e ai compromessi.
De Andre' usava il linguaggio di un poeta non allineato, ricorrendo alla forza dissacrante dell'ironia per frantumare ogni convenzione. Nel suo mirino, sono finiti i "benpensanti", i farisei, i boia, i giudici forcaioli, i re cialtroni di ogni tempo. Il suo, in definitiva, e' un disperato messaggio di liberta' e di riscatto contro "le leggi del branco" e l'arroganza del potere. Di lui, Mario Luzi, uno dei maggiori poeti italiani del Novecento, ha detto: "De Andre' e' veramente lo chansonnier per eccellenza, un artista che si realizza proprio nell'intertestualita' tra testo letterario e testo musicale. Ha una storia e morde davvero".>>


Della guerra De André ha parlato spessissimo, soprattutto delle sue vittime. In ‘Sand Creek’ c’è l’ennesimo esempio della guerra (in questo caso genocidio) descritta con la sua solita sensibilissima eleganza, di quelle che ti fanno planare sulle cose più crude e drammatiche con una grazia che è solo poesia.

Nel brano c’è la contrapposizione tra il tono maggiore e il chiaro riferimento nel testo ad elementi di morte, che fanno capolino tra gli elementi naturali (il "lampo in un orecchio", "l'albero della neve fiorì di stelle rosse"), c’è l'accompagnamento musicale che gioca su un unico arpeggio quasi ipnotico, c’è l'eco del coro dei bambini defunti contrapposto allo scorrere del fiume (che in molte culture è stato associato alla vita), c’è il dolce tono fiabesco in cui si srotola la contrapposizione tra la saggezza del nonno (di cui De André ha sempre sentito la mancanza) e il giovane ascoltatore, presumibilmente spensierato, che ascolta una leggenda di bambini defunti in un tempo immemorabile, sul fondo di un fiume.


La storia raccontata nella canzone:

“Fiume Sand Creek” parla del massacro compiuto a metà ‘800 sugli indiani Cheyenne che volevano trattare la pace con i soldati americani. Riporto in breve la narrazione: Nell'estate del 1864 il governo ordinò che tutte le tribù si radunassero in uno stesso luogo, presso un forte dell'esercito, Fort Lyon, nel Colorado. Gli Indiani non ubbidirono. Perciò il colonnello Chivington organizzò il terzo Reggimento dei volontari del Colorado, uomini della peggior specie reclutati per cento giorni soltanto, col compito di massacrare quanti più Indiani possibile.

Pentola Nera aveva una grande bandiera americana appesa in cima a un lungo palo e stava davanti alla sua tenda, aggrappato al palo, con la bandiera svolazzante nella luce grigia dell'alba invernale. Gridò alla sua gente di non avere paura, che i soldati non avrebbero fatto loro dei male, così come accordato; poi le truppe aprirono il fuoco dai due lati del Campo. I soldati appena smontati da cavallo cominciarono a sparare con le carabine e le pistole. In quel momento centinaia di donne e bambini Cheyenne si stavano radunando intorno alla bandiera di Pentola Nera in segno di paura e di pace. Risalendo il letto asciutto del torrente altri giungevano dal campo di Antilope Bianca, che però cadde fulminato dal fuoco bianco mentre si avvicinava con le braccia alzate al comandante. I sopravvissuti fra i Cheyenne dissero che Antilope Bianca cantò il canto di morte prima di spirare: "Niente vive a lungo. Solo la terra e le montagne". Ma all'alba del 29 novembre 1864, il colonnello Chivington fece circondare l'accampamento, nonostante gli accordi presi e anche se nel mezzo del villaggio sventolava la bandiera americana, comandò l'attacco contro una popolazione inerme che quasi niente fece per reagire. Gli episodi sconvolgenti - come venne testimoniato dagli stessi indiani e da molti altri bianchi che parteciparono al massacro - non si contarono. Gli uomini vennero scalpati e orrendamente mutilati, i bambini usati per un macabro tiro al bersaglio, le donne oltraggiate, mutilate e scalpate. Per commettere delitti così atroci bisognava possedere una innata cattiveria o non essere padroni delle proprie azioni. In effetti molti dei partecipanti erano ubriachi. In nessun modo si riuscì legalmente a rendere giustizia ai pellerossa. La descrizione di Robert Bent delle atrocità dei soldati fu confermata dal tenente James Condor, "Tornato sul campo di battaglia il giorno dopo non vidi un solo corpo di uomo, donna o bambino a cui non fosse stato tolto lo scalpo, e in molti casi i cadaveri erano mutilati in modo orrendo: organi sessuali tagliati, ecc.” per quanto io ne sappia John M. Chivington era a conoscenza di tutte le atrocità che furono commesse e non mi risulta che egli abbia fatto nulla per impedirle. Un certo numero di Cheyenne scavò trincee sotto gli alti argini del torrente in secca e resistette fino a quando scese la notte. Altri fuggirono da soli o a piccoli gruppi attraverso la pianura. Quando cessò la sparatoria erano morti 105 donne e bambini indiani e 28 uomini. Nel suo rapporto ufficiale, Chivington parlò di quattro o cinquecento guerrieri uccisi. Egli aveva perso 9 uomini, e aveva avuto 38 feriti; molti erano vittime del fuoco disordinato dei soldati che si sparavano addosso l'un l'altro. Quando scese la notte i sopravvissuti strisciarono fuori dalle buchePer 80 chilometri sopportarono il gelo dei venti, la fame e i dolori delle ferite, ma alla fine raggiunsero il campo di caccia. "Come arrivammo nel campo vi fu una scena terribile. Tutti piangevano, persino i guerrieri, le donne e i bambini strillavano e gemevano. Quasi tutti i presenti avevano perso qualche parente o amico e molti di loro sconvolti dal dolore si sfregiavano coi coltelli finché il sangue usciva a fiotti."

Link al video: http://www.youtube.com/watch?v=UYSorczUfEE


Questa è una delle sue canzoni preferite, dall’album “Indiano” del 1981:

Si son presi il nostro cuore sotto una coperta scura,
sotto una luna morta piccola dormivamo senza paura
fu un generale di vent'anni… occhi turchini e giacca uguale
fu un generale di vent'anni… figlio d'un temporale

c'è un dollaro d'argento sul fondo del Sand Creek

I nostri guerrieri troppo lontani sulla pista del bisonte
e quella musica distante diventò sempre più forte
chiusi gli occhi per tre volte… mi ritrovai ancora lì
chiesi a mio nonno è solo un sogno… mio nonno disse sì

a volte i pesci cantano sul fondo del Sand Creek

Sognai talmente forte che mi uscì il sangue dal naso
il lampo in un orecchio nell'altro il paradiso
le lacrime più piccole… le lacrime più grosse
quando l'albero della neve… fiorì di stelle rosse

ora i bambini dormono nel letto del Sand Creek

Quando il sole alzò la testa tra le spalle della notte
c'erano solo cani e fumo e tende capovolte
tirai una freccia in cielo, per farlo respirare
tirai una freccia al vento, per farlo sanguinare

la terza freccia cercala sul fondo del Sand Creek

Si son presi l nostri cuori sotto una coperta scura,
sotto una luna morta piccola dormivamo senza paura
fu un generale di vent'anni… occhi turchini e giacca uguale
fu un generale di vent'anni… figlio d'un temporale

ora i bambini dormono sul fondo del Sand Creek

venerdì 6 novembre 2009

una canzone: 'IO SE FOSSI DIO'

di Giorgio Gaber (dall’album “Io se fossi Dio”, 1980)

Il titolo richiama il noto sonetto di Cecco Angiolieri S'i' fosse foco: Io se fossi Dio è una sorta di J'accuse musicato, nel quale Gaber non risparmia davvero nessuno, riservando le invettive più feroci ai protagonisti, grandi e piccoli, della scena politica italiana, senza distinzioni di parte. Il brano fu a lungo ostracizzato dalla radio e dalla televisione italiana ed ebbe una circolazione quasi "clandestina". Anche la pubblicazione si rivelò particolarmente difficoltosa, dato che la Carosello, casa discografica del cantautore, e la Dischi Ricordi, che distribuiva la Carosello, temevano di subire pesanti conseguenze legali. L'accusa che fece maggior scalpore è rivolta al repentino stravolgimento delle valutazioni politiche, involontariamente favorito dalle incoscienti e colpevoli azioni dei terroristi che, oltre a provocare un profondo sgomento umano, avevano consentito di elevare al ruolo di martiri, personaggi il cui passato politico era, secondo l'autore, ben lungi dall'essere positivo. Nella fattispecie, il testo cita esplicitamente l'onorevole Aldo Moro, lo statista assassinato nel 1978 dalle Brigate Rosse; dopo il misfatto, Moro fu dipinto dalla gran parte della stampa e della politica italiana come il più grande statista dal dopoguerra e Gaber volle ricordare come, da vivo, fosse considerato in ben altro modo dagli stessi critici ed avversari che ora ne tessevano le lodi. Non mancano gli attacchi ai partiti, come i radicali o i socialisti, più di dieci anni prima di mani pulite. La generale ostilità verso il cantautore, certo non venne mitigata dal salace attacco alla categoria dei giornalisti, accusati tralasciare ogni dovere di critica sociale e politica, per indulgere morbosamente in notizie tragiche, allo scopo di scatenare facili pietismi e artificiose commozioni.

Video I e II parte: http://www.youtube.com/watch?v=pGe2ETQHlNI&feature=related

http://www.youtube.com/watch?v=lIT1P_HUbb0&NR=1


importante! Il testo CON NOTE linguistiche: http://www.scudit.net/mdgabersefossi.htm


Io se fossi Dio e io potrei anche esserlo, sennò non vedo chi.
Io se fossi Dio non mi farei fregare dai modi furbetti della gente
non sarei mica un dilettante, sarei sempre presente.
Sarei davvero in ogni luogo a spiare
o meglio ancora a criticare, appunto, cosa fa la gente.
Per esempio il piccolo borghese: com’è noioso
non commette mai peccati grossi,
non è mai intensamente peccaminoso.
Del resto, poverino, è troppo misero e meschino
e pur sapendo che Dio è più esatto di una Sveda
lui pensa che l’errore piccolino non lo conti o non lo veda.
Per questo io se fossi Dio preferirei il secolo passato
se fossi Dio rimpiangerei il furore antico
dove si odiava e poi si amava e si ammazzava il nemico.

Ma io non sono ancora nel regno dei cieli
sono troppo invischiato nei vostri sfaceli.

Io se fossi Dio non sarei così coglione
a credere solo ai palpiti del cuore o solo agli alambicchi della ragione.
Io se fossi Dio sarei sicuramente molto intero e molto distaccato,
come dovreste essere voi.
Io se fossi Dio non sarei mica stato a risparmiare
avrei fatto un uomo migliore.
Sì, vabbe’, lo ammetto, non mi è venuto tanto bene
ed è per questo, per predicare il giusto

che io ogni tanto mando giù qualcuno,
ma poi alla gente piace interpretare e fa ancora più casino.
Io se fossi Dio non avrei fatto gli errori di mio figlio
e sull’amore e sulla carità mi sarei spiegato un po’ meglio.
Infatti non è mica normale che un comune mortale
per le cazzate tipo compassione e fame in India
c’ha tanto amore di riserva che neanche se lo sogna,
che viene da dire “Ma dopo come fa a essere così carogna?”
Io se fossi Dio non sarei ridotto come voi
e se lo fossi io certo morirei per qualcosa di importante.
Purtroppo l’occasione di morire simpaticamente non capita sempre
e anche l’avventuriero più spinto muore dove gli può capitare

e neanche tanto convinto.
Io se fossi Dio farei quello che voglio
non sarei certo permissivo, bastonerei mio figlio
sarei severo e giusto, stramaledirei gli inglesi come mi fu chiesto
e se potessi anche gli africanisti e l’Asia,
e poi gli americani e i russi,
bastonerei la militanza come la misticanza,
e prenderei a schiaffi i volteriani, i ladri
gli stupidi e i bigotti…perché Dio è violento!
E gli schiaffi di Dio appiccicano al muro tutti.

Ma io non sono ancora nel regno dei cieli
sono troppo invischiato nei vostri sfaceli.

Finora abbiamo scherzato.
Ma va a finire che uno prima o poi ci piglia gusto
e con la scusa di Dio tira fuori tutto quello che gli sembra giusto.
E a te ragazza che mi dici che non è vero
che il piccolo borghese è solo un po’ coglione,
che quell’uomo è proprio un delinquente,
un mascalzone, un porco in tutti i sensi, una canaglia
e che ha tentato pure di violentare sua figlia.
Io come Dio inventato, come Dio fittizio,
prendo coraggio e sparo il mio giudizio e dico:
speriamo che a tuo padre gli sparino nel culo, cara figlia.
Così per i giornali diventa un bravo padre di famiglia.
Io se fossi Dio maledirei davvero i giornalisti
e specialmente tutti che certamente non sono brave persone
e dove cogli, cogli sempre bene.
Compagni giornalisti avete troppa sete
e non sapete approfittare delle libertà che avete,
avete ancora la libertà di pensare, ma quello non lo fate
e in cambio pretendete la libertà di scrivere e di fotografare.
Immagini geniali e interessanti,
di presidenti solidali e di mamme piangenti.
E in questa Italia piena di sgomento
come siete coraggiosi, voi che vi buttate

senza tremare un momento.
Cannibali, necrofili, deamicisiani e astuti…
e si direbbe proprio compiaciuti.
Voi vi buttate sul disastro umano

col gusto della lacrima in primo piano.
Sì, vabbe’, lo ammetto la scomparsa dei fogli e della stampa
sarebbe forse una follia
ma io se fossi Dio di fronte a tanta deficienza
non avrei certo la superstizione della democrazia.

Ma io non sono ancora del regno dei cieli
sono troppo invischiato nei vostri sfaceli.

Io se fossi Dio naturalmente io chiuderei la bocca a tanta gente
nel regno dei cieli non vorrei ministri, né gente di partito tra le palle,
perché la politica è schifosa e fa male alla pelle.
E tutti quelli che fanno questo gioco,
che poi è un gioco di forza ributtante e contagioso,
come la lebbra e il tifo
…e tutti quelli che fanno questo gioco
c’hanno certe facce che a vederle fanno schifo
che sian untuosi democristiani, o grigi compagni del Pci.
Son nati proprio brutti, o perlomeno tutti finiscono così.
Io se fossi Dio dall’alto del mio trono
vedrei che la politica è un mestiere come un altro
e vorrei dire, mi pare Platone, che il politico è sempre meno filosofo
e sempre più coglione.
È un uomo a tutto tondo che senza mai guardarci dentro scivola sul mondo
che scivola sulle parole anche quando non sembra o non lo vuole.
Compagno radicale…la parola compagno non so chi te l’ha data
ma in fondo ti sta bene, tanto ormai è squalificata
compagno radicale, cavalcatore di ogni tigre, uomo furbino
ti muovi proprio bene in questo gran casino
e mentre da una parte si spara un po’ a casaccio
dall’altra si riempiono le galere di gente che non c’entra un cazzo.
Compagno radicale, tu occupati pure di diritti civili
e di idiozia che fa democrazia e preparaci pure un altro referendum
questa volta per sapere dov’è che i cani devono pisciare.
Compagni socialisti… ma sì, anche voi insinuanti, astuti e tondi
compagni socialisti, con le vostre spensierate alleanze
di destra, di sinistra, di centro

coi vostri uomini aggiornati nuovi di fuori e vecchi di dentro
compagni socialisti, fatevi avanti
che questo è l’anno del garofano rosso e dei soli nascenti
fatevi avanti col mito del progresso, e con la vostra schifosa ambiguità,

ringraziate la dilagante imbecillità.

(II° parte)
Ma io non sono ancora nel regno dei cieli
sono troppo invischiato nei vostri sfaceli.

Io se fossi Dio non avrei proprio più pazienza,
inventerei di nuovo una morale
e farei suonare le trombe per il Giudizio universale.
Voi mi direte: perché è così parziale il mio personalissimo Giudizio universale?
Perché non suonano le mie trombe per gli attentati, i rapimenti,
i giovani drogati e per le bombe.
Perché non è comparsa ancora l’altra faccia della medaglia.
Io come Dio, non è che non ne ho voglia
io come Dio, non dico certo che siano ingiudicabili
o addirittura, come dice chi ha paura, gli innominabili
ma come uomo come sono e fui ho parlato di noi, comuni mortali,
quegli altri non li capisco, mi spavento, non mi sembrano uguali.
Di loro posso dire solamente che dalle masse sono riusciti ad ottenere
lo stupido pietismo per il carabiniere,
di loro posso dire solamente che mi hanno tolto il gusto

di essere incazzato personalmente.
Io come uomo posso dire solo ciò che sento:
cioè solo l’immagine del grande smarrimento.
Però se fossi Dio sarei anche invulnerabile e perfetto,
allora non avrei paura affatto,
così potrei gridare, e griderei senza ritegno che è una porcheria
che i brigatisti militanti siano arrivati dritti alla pazzia.
Ecco la differenza che c’è tra noi e gli innominabili:
di noi posso parlare perché so chi siamo,
e forse facciamo più schifo che spavento,
di fronte al terrorismo o a chi si uccide c’è solo lo sgomento.
Ma io se fossi Dio non mi farei fregare da questo sgomento
e nei confronti dei politici sarei severo come all’inizio,
perché a Dio i martiri non gli hanno fatto mai cambiar giudizio.
E se al mio Dio che ancora si accalora gli fa rabbia chi spara
gli fa anche rabbia il fatto che un politico qualunque,
se gli ha sparato un brigatista, diventa l’unico statista.
Io se fossi Dio quel Dio di cui ho bisogno come di un miraggio
c’avrei ancora il coraggio di continuare a dire
che Aldo Moro insieme a tutta la Democrazia cristiana
è il responsabile maggiore di vent’anni di cancrena italiana.
Io se fossi Dio un Dio incosciente, enormemente saggio,
c’avrei anche il coraggio di andare dritto in galera,
ma vorrei dire che Aldo Moro resta ancora quella faccia che era.
Ma in fondo tutto questo è stupido perché logicamente
io se fossi Dio la Terra la vedrei piuttosto da lontano
e forse non ce la farei ad accalorarmi in questo scontro quotidiano.
Io se fossi Dio non mi interesserei di odio e di vendetta
e neanche di perdono perché la lontananza è l’unica vendetta
è l’unico perdono.
E allora va a finire che se fossi Dio io mi ritirerei in campagna,
come ho fatto io.


una canzone: 'Vedi cara'

Francesco Guccini (dall’album “Due anni dopo”, 1970)
video: http://www.youtube.com/watch?v=mjZC0wnvk24&NR=1

Vedi cara, è difficile a spiegare,
è difficile parlare dei fantasmi di una mente.
Vedi cara, tutto quel che posso dire
è che cambio un po' ogni giorno, è che sono differente.
Vedi cara, certe volte sono in cielo come un aquilone al vento
che poi a terra ricadrà.
Vedi cara, è difficile a spiegare,
è difficile capire se non hai capito già

Vedi cara, certe crisi son soltanto segno di qualcosa dentro
che sta urlando per uscire.
Vedi cara certi giorni sono un anno, certe frasi sono un niente
che non serve più sentire.
Vedi cara le stagioni ed i sorrisi son denari che van spesi
con dovuta proprietà.
Vedi cara è difficile a spiegare, è difficile capire se non hai capito già

Non capisci quando cerco in una sera un mistero d'atmosfera
che è difficile afferrare,
quando rido senza muovere il mio viso, quando piango senza un grido,
quando invece vorrei urlare,
quando sogno dietro a frasi di canzoni, dietro a libri e ad aquiloni,
...dietro a ciò che non sarà...
Vedi cara è difficile a spiegare,
è difficile capire se non hai capito già...

Non rimpiango tutto quello che mi hai dato
che son io che l'ho creato e potrei rifarlo ora,
anche se tutto il mio tempo con te non dimentico
perchè questo tempo dura ancora.
Non cercare in un viso la ragione, in un nome la passione
che lontano ora mi fa.
Vedi cara è difficile a spiegare,
è difficile capire se non hai capito già

Tu sei molto, anche se non sei abbastanza,
e non vedi la distanza che è fra i miei pensieri e i tuoi,
tu sei tutto, ma quel tutto è ancora poco,
tu sei paga del tuo gioco ed hai già quello che vuoi.
Io cerco ancora e così non spaventarti quando senti allontanarmi:
fugge il sogno, io resto qua.
Sii contenta della parte che tu hai, ti do quello che mi dai,
chi ha la colpa non si sa.
Cerca dentro per capir quello che sento, per sentir che ciò che cerco
non è il nuovo o libertà...
Vedi cara è difficile a spiegare,
è difficile capire se non hai capito già...

una canzone: Per amore mio (Ultimi giorni di Sancho P.)

di Roberto Vecchioni (dall’album “Per amore mio”, 1991)
video: http://www.youtube.com/watch?v=xcEtvT8Io-o

Ragazza, noi siamo bugie del tempo,
appesi come foglie al vento di Mistral
non eri ancora nata e già ti avevo dentro
come stanotte in questa casa di Alcazar.
Ma più bello di averti è quando ti disegno…
niente ha più realtà del sogno
Il mondo non esiste, il mondo non è vero…
e ho sognato di me.

Per amore, solo per amore…dei miei occhi, delle mie parole
con la frutta marcia fra le mani, con la donna che non c'è domani.
Per amore, solo per amore…del bambino perso sulle scale,
per tenermi se le gambe tremano e vedere dove gli altri guardano
no, Sancho non muore.

Ho combattuto il cuore dei mulini a vento,
insieme a un vecchio pazzo che si crede me
ho amato Dulcinea insieme ad altri cento:
ho cantato per lei, ma perché??
In un paese d'ombre fra la terra e il cielo…
ora sogno di te.

Per amore, solo per amore… dei miei gesti, delle mie parole
delle notti che me li confondo insieme
e del vino, lento fiume nelle vene.
Per amore, solo per amore… di quel viso che non può tornare
della stella che non può cadere giù,
la tua mano che non sa tenermi più.
Per amore, solo per amore mio… ho giocato sempre a strabiliare
Per amore, solo per amore mio… dietro un velo che non puoi arrivarci tu
Per amore, solo per amore mio…

una canzone: 'Sogna ragazzo sogna'

di Roberto Vecchioni (dall'album "sogna, ragazzo sogna", 1999)
video: http://www.youtube.com/watch?v=mSfYme_TL48

E ti diranno parole rosse come il sangue, nere come la notte;
ma non è vero, ragazzo, che la ragione sta sempre col più forte;
io conosco poeti che spostano i fiumi con il pensiero
e naviganti infiniti che sanno parlare con il cielo.
Chiudi gli occhi, ragazzo, e credi solo a quel che vedi dentro,
stringi i pugni, ragazzo, non lasciargliela vinta neanche un momento,
copri l'amore, ragazzo, ma non nasconderlo sotto il mantello,
a volte passa qualcuno, a volte c'è qualcuno che deve vederlo.

Sogna, ragazzo sogna quando sale il vento nelle vie del cuore,
quando un uomo vive per le sue parole o non vive più…
sogna, ragazzo sogna non lasciarlo solo contro questo mondo,
non lasciarlo andare, sogna fino in fondo fallo pure tu…
sogna, ragazzo sogna quando cala il vento ma non è finita,
quando muore un uomo per la stessa vita che sognavi tu…
sogna, ragazzo sogna, non cambiare un verso della tua canzone,
non lasciare un treno fermo alla stazione, non fermarti giù...


Lasciali dire che al mondo quelli come te perderanno sempre,
perchè hai già vinto, lo giuro, e non ti possono fare più niente;
passa ogni tanto la mano su un viso di donna, passaci le dita,
nessun regno è più grande di questa piccola cosa che è la vita
E la vita è così forte che attraversa i muri per farsi vedere,
la vita è così vera che sembra impossibile doverla lasciare;
la vita è così grande che quando sarai sul punto di morire,
pianterai un ulivo convinto ancora di vederlo fiorire

Sogna, ragazzo sogna, quando lei si volta, quando lei non torna,
quando il solo passo che fermava il cuore non lo senti più…
sogna, ragazzo, sogna, passeranno i giorni, passerà l'amore,
passeran le notti, finirà il dolore, sarai sempre tu...
Sogna, ragazzo sogna, piccola ragazza nella mia memoria,
tante volte tanti dentro questa storia: non vi conto più…
sogna, ragazzo, sogna, ti ho lasciato un foglio sulla scrivania,
manca solo un verso a quella poesia, puoi finirla tu…