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sabato 25 settembre 2010

Pasolini e gli italiani

[...]

L'intelligenza non avrà mai peso, mai
nel giudizio di questa pubblica opinione.
Neppure sul sangue dei lager, tu otterrai

da uno dei milioni d'anime della nostra nazione,
un giudizio netto, interamente indignato:
irreale è ogni idea, irreale ogni passione,

di questo popolo ormai dissociato
da secoli, la cui soave saggezza
gli serve a vivere, non l'ha mai liberato.

Mostrare la mia faccia, la mia magrezza -
alzare la mia sola puerile voce -
non ha più senso: la viltà avvezza

a vedere morire nel modo più atroce
gli altri, nella più strana indifferenza.
Io muoio, ed anche questo mi nuoce.
[...]


(Da: "La Guinea", 1962)


La morte non è nel non poter comunicare, ma nel non poter più essere compresi

lunedì 12 luglio 2010

Il matrimonio e l'amore secondo Gibran

<Che cos'è il Matrimonio, maestro?

E lui rispose dicendo:
Voi siete nati insieme e insieme starete per sempre.
Sarete insieme quando le bianche ali della morte disperderanno i vostri giorni.
E insieme nella silenziosa memoria di Dio.
Ma vi sia spazio nella vostra unione,
E tra voi danzino i venti dei cieli.

Amatevi l'un l'altro, ma non fatene una prigione d'amore:
Piuttosto vi sia un moto di mare tra le sponde delle vostre anime.
Riempitevi l'un l'altro le coppe, ma non bevete da un'unica coppa.
Datevi sostentamento reciproco, ma non mangiate dello stesso pane.
Cantate e danzate insieme e state allegri, ma ognuno di voi sia solo,
Come sole sono le corde del liuto, benché vibrino di musica uguale.

Donatevi il cuore, ma l'uno non sia di rifugio all'altro,
Poiché solo la mano della vita può contenere i vostri cuori.
E siate uniti, ma non troppo vicini;
Le colonne del tempio si ergono distanti,
E la quercia e il cipresso non crescono l'una all'ombra dell'altro.>>



tratto da “Il Profeta” Kahlil Gibran (جبران خليل جبران o Jibrān Khalīl Jibrān), Libano 1923

Bukowski: “Uomo e donna a letto alle 10 pomeridiane”

“Uomo e donna a letto

alle 10 pomeridiane”

Charles Bukowski (1920-1994)

mi sento come una scatola di sardine, disse lei.
mi sento come un cerotto, dissi io.
mi sento come un panino al tonno, disse lei.
mi sento come un pomodoro a fette, dissi io.
mi sento come se stesse per piovere, disse lei.
mi sento come se l'orologio s'è fermato, dissi io.
mi sento come se la porta fosse aperta, disse lei.
mi sento come se stesse per entrare un elefante, dissi io.
mi sento che dovremmo pagare l'affitto, disse lei.
mi sento che dovresti trovare lavoro, disse lei.

non me la sento di lavorare, dissi.

mi sento che di me non te me ne importa, disse lei.
mi sento che dovremmo far l'amore, dissi io.
mi sento che l'amore l'abbiamo fatto fìn troppo, disse lei.
mi sento che dovremmo farlo più spesso, dissi io.
mi sento che dovresti trovare lavoro, disse lei.
mi sento che dovresti trovare lavoro, dissi io.

mi sento una gran voglia di bere, disse lei.
mi sento come una bottiglia di whisky, dissi io.
mi sento che finiremo come due ubriaconi, disse lei.
mi sento che hai ragione, dissi io.
mi sento di mollare tutto, disse lei.
mi sento che ho bisogno d'un bagno, dissi io.
anch'io mi sento che hai bisogno d'un bagno, disse lei.
mi sento che dovresti lavarmi la schiena, dissi io.
mi sento che tu non mi ami, disse lei.
mi sento che ti amo, dissi io.
mi sento quel coso dentro adesso, disse lei.
anch'io sento che adesso quel coso è dentro di te, dissi io.
mi sento che adesso ti amo, disse lei.
mi sento che ti amo più di te, dissi io.
mi sento benone, disse lei, ho voglia di urlare.
mi sento che non la smetterei più, dissi io.
mi sento che ne saresti capace, disse lei.
mi sento, dissi io.
mi sento, disse lei.

giovedì 18 marzo 2010

"Ninna nanna della guerra"

Trilussa (1914)

Satira è l’anagramma di Risata… non ci avevo mai pensato… O_o


Ninna nanna, nanna ninna,
er pupetto vò la zinna:
dormi, dormi, cocco bello,
sennò chiamo Farfarello
Farfarello e Gujermone
che se mette a pecorone,
Gujermone e Ceccopeppe
che se regge co le zeppe,
co le zeppe d'un impero
mezzo giallo e mezzo nero.


Ninna nanna, pija sonno
ché se dormi nun vedrai
tante infamie e tanti guai
che succedeno ner monno
fra le spade e li fucili
de li popoli civili.
Ninna nanna, tu nun senti
li sospiri e li lamenti
de la gente che se scanna
per un matto che commanna;

che se scanna e che s'ammazza
a vantaggio de la razza
o a vantaggio d'una fede
per un Dio che nun se vede,
ma che serve da riparo
ar Sovrano macellaro.


Chè quer covo d'assassini
che c'insanguina la tera
sa benone che la guera
è un gran giro de quatrini
che prepara le risorse
pe li ladri de le Borse.


Fa la ninna, cocco bello,
finchè dura sto macello:
fa la ninna, chè domani
rivedremo li sovrani
che se scambieno la stima
boni amichi come prima.
So cuggini e fra parenti
nun se fanno comprimenti:
torneranno più cordiali
li rapporti personali.


E riuniti fra de loro
senza l'ombra d'un rimorso,
ce faranno un ber discorso
su la Pace e sul Lavoro
pe quer popolo cojone
risparmiato dar cannone!

Sembra che la poesia sia stata cantata dai torinesi durante la prima guerra mondiale, quando il testo veniva ampiamente pubblicato dai giornali socialisti piemontesi. Venne poi anche ripreso da "L'Ordine Nuovo" del 9 gennaio 1921, preceduto da una nota di Palmiro Togliatti che ne confermava proprio l'ampia diffusione almeno a partire dal '17: “ricordiamo che la poesia è stata scritta nel 1917 (sic), in uno dei più cupi periodi della guerra europea e ha subito avuto un grande successo e una diffusione enorme tra il popolo, quantunque naturalmente in quel tempo il cantarla fosse reato di... disfattismo. Oggi è disfattista la realtà stessa, che fa succedere sotto gli occhi degli uomini fatti che allora potevano sembrare amare previsioni di un animo esacerbato. Perciò quello che allora era fantasia poetica ben può valere oggi come commento politico".

(Dal saggio di Cesare Bermani: "L'Ordine Nuovo" e il canto sociale. Nella rivista "L'impegno", a. XI, n. 1, aprile 1991 © Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nelle Province di Biella e Vercelli)


Videolink, Proietti recita Trilussa: http://www.youtube.com/watch?v=Gh7-KD6RtWQ


venerdì 12 marzo 2010

"Crave"

Sarah Kane, giovane e talentuosa drammaturga inglese, tormenta e controversa, morta suicida una decina di anni fa.

CRAVE (in Italia uscito col titolo "Febbre") è la follia, è il monologare di quattro personaggi intrecciati e doloranti, che si esprimono in maniera instabile e inafferrabile.
“Crave. Fame, sete. Avidità. Nei sentimenti, dei sentimenti. Bisogno incontenibile di amare ed essere amati. Voglia disperata. Febbre.
A (author, abusator, Alexander, nome dell’attore che inizialmente dove interpretare il personaggio), B (boy), C (child), M (mother): quattro personaggi disperati, rassegnati, la cui loro vita non ha più Parlano. Parlano a sé, parlano all’amato/a che non li ama abbastanza, perché le parole sono ancora un rifugio, una salvezza. Quattro personaggi senza nome che cercano di dare forma ai loro pensieri in un oratorio commovente, un percorso di vita in cui piano piano la vita e la parola si consumano, spalancando sotto i piedi di A, B, C ed M, uomini o donne che siano, il vuoto consolante della morte e della poesia.”

Ecco un estratto dell’opera teatrale del 1998:
Monologo di A : E voglio giocare a nascondino e darti i miei vestiti e dirti che mi piacciono le tue scarpe e sedermi sugli scalini mentre fai il bagno e massaggiarti il collo e baciarti i piedi e tenerti la mano e andare a cena fuori e non farci caso se mangi dal mio piatto e incontrarti da Rudy e parlare della giornata e battere a macchina le tue lettere e portare le tue scatole e ridere della tua paranoia e darti nastri che non ascolti e guardare film bellissimi e guardare film orribili e lamentarmi della radio e fotografarti mentre dormi e svegliarmi per portarti caffè brioches e ciambella e andare da Florent e bere caffè a mezzanotte e farmi rubare tutte le sigarette e non trovare mai un fiammifero e dirti quali programmi ho visto in tv la notte prima e portarti a far vedere l’occhio e non ridere delle tue barzellette e desiderarti di mattina ma lasciarti dormire ancora un po’ e baciarti la schiena e carezzarti la pelle e dirti quanto amo i tuoi capelli i tuoi occhi le tue labbra il tuo collo i tuoi seni il tuo culo il tuo
e sedermi a fumare sulle scale finché il tuo vicino non torna a casa e sedermi a fumare sulle scale finché tu non torni a casa e preoccuparmi se fai tardi e meravigliarmi se torni presto e portarti girasoli e andare alla tua festa e ballare fino a diventare nero e essere mortificato quando sbaglio e felice quando mi perdoni e guardare le tue foto e desiderare di averti sempre conosciuta e sentire la tua voce nell’orecchio e sentire la tua pelle sulla mia pelle e spaventarmi quando sei arrabbiata e hai un occhio che è diventato rosso e l’altro blu e i capelli tutti a sinistra e la faccia orientale e dirti che sei splendida e abbracciarti se sei angosciata e stringerti se stai male e aver voglia di te se sento il tuo odore e darti fastidio quando ti tocco e lamentarmi quando sono con te e lamentarmi quando non sono con te e sbavare dietro ai tuoi seni e coprirti la notte e avere freddo quando prendi tutta la coperta e caldo quando non lo fai e sciogliermi quando sorridi e dissolvermi quando ridi e non capire perché credi che ti rifiuti visto che non ti rifiuto e domandarmi come hai fatto a pensare che ti avessi rifiutato e chiedermi chi sei ma accettarti chiunque tu sia e raccontarti dell’angelo dell’albero il bambino della foresta incantata che attraversò volando gli oceani per amor tuo e scrivere poesie per te e chiedermi perché non mi credi e provare un sentimento così profondo da non trovare le parole per esprimerlo e aver voglia di comperarti un gattino di cui diventerei subito geloso perché riceverebbe più attenzioni di me e tenerti a letto quando devi andare via e piangere come un bambino quando te ne vai e schiacciare gli scarafaggi e comprarti regali che non vuoi e riportarmeli via e chiederti di sposarmi e dopo che mi hai detto ancora una volta di no continuare a chiedertelo perché anche se credi che non lo voglia davvero io lo voglio veramente sin dalla prima volta che te l’ho chiesto e andare in giro per la città pensando che è vuota senza di te e volere quello che vuoi tu e pensare che mi sto perdendo ma sapere che con te sono al sicuro e raccontarti il peggio di me e cercare di darti il meglio perché è questo che meriti e rispondere alle tue domande anche quando potrei non farlo e cercare di essere onesto perché so che preferisci così e sapere che è finita ma restare ancora dieci minuti prima che tu mi cacci per sempre dalla tua vita e dimenticare chi sono e cercare di esserti vicino perché è bello imparare a conoscerti e ne vale di sicuro la pena e parlarti in un pessimo tedesco e in un ebraico ancora peggiore e far l’amore con te alle tre di mattina e non so come non so come non so come comunicarti qualcosa dell’assoluto eterno indomabile incondizionato inarrestabile irrazionale razionalissimo costante infinito amore che ho per te.

(curiosità: L’opera fu pubblicata originariamente con lo pseudonimo di Marie Kelvedon, per fare in modo che i critici la valutassero come un’opera a sé stante e non come l’ultimo lavoro di una autrice i cui personaggi avevano succhiato gli occhi uno all’altro e cotto alla griglia i loro genitali.)

mercoledì 4 novembre 2009

"Autumn leaves"

"The falling leaves drift by the window
The autumn leaves of red and gold
I see your lips, the summer kisses
The sun-burned hands I used to hold

Since you went away the days grow long
And soon I'll hear old winter's song
But I miss you most of all my darling
When autumn leaves start to fall"

"Le foglie che cadono fuori dalla finestra
Le foglie d'autunno di rosso e oro
Vedo le tue labbra, i baci estivi
Le mani abbronzate che trattenevo nelle mie

Dal momento che te ne sei andato i giorni sono più lunghi
E presto sentirò una vecchia canzone invernale
Ma tu mi manchi più di tutto
Quando le foglie d'autunno iniziano a cadere"

(video-link: http://www.youtube.com/watch?v=9IDUxk9sSXI&feature=related)


Il testo 'originale' fu scritto dal poeta Jacques Prévert nel 1946, e musicato l'anno seguente da Joseph Kosma. E' stato interpretato e cantato da Yves Montand nel film Les portes de la nuit, e in seguito da altri cantanti francesi (tra cui Edith Piaf) finché fu portata negli Stati Uniti dal cantautoreJohnny Mercer col nome di "Autumn Leaves", nella versione di cui sopra, diventatando uno standard Pop e Jazz, interpretato anche da sopraffini musicisti (fra gli altri Miles Davis e John Coltrane).


Traduzione in italiano di "LES FEUILLES MORTES" ("Le foglie morte") o anche "LA CHANSON DE PREVERT":


"Oh, vorrei tanto che anche tu ricordassi

i giorni felici del nostro amore...
Com'era più bella la vita
e com'era più bruciante il sole!
Le foglie morte cadono a mucchi,
vedi: non ho dimenticato
Le foglie morte cadono a mucchi,
come i ricordi e i rimpianti...
e il vento del nord porta via tutto
nella più fredda notte che dimentica.
Vedi: non ho dimenticato
la canzone che mi cantavi

È una canzone che ci somiglia
Tu che mi amavi
e io ti amavo
E vivevamo, noi due, insieme
tu che mi amavi
io che ti amavo
Ma la vita separa chi si ama,
piano piano,
senza nessun rumore...
e il mare cancella sulla sabbia
i passi degli amanti

Le foglie morte cadono a mucchi,
e come loro i ricordi, i rimpianti.
Ma il mio fedele e silenzioso amore
sorride ancora, dice grazie alla vita.
Ti amavo tanto, eri così bella...
Come potrei dimenticarti?
Com'era più bella la vita
e com'era più bruciante il sole.
Eri la mia più dolce amica.
Ma non ho ormai che rimpianti
e la canzone che tu cantavi
la sentirò per sempre!

È una canzone che ci somiglia
Tu che mi amavi
io che ti amavo
Ma la vita separa chi si ama,
piano piano,
senza nessun rumore...
e il mare cancella sulla sabbia
i passi degli amanti divisi."

martedì 3 novembre 2009

"Sensazione"


"Le sere azzurre d'estate, andrò per i sentieri,
Punzecchiato dal grano, a calpestare erba fina:
Trasognato, ne sentirò la freschezza ai piedi.
Lascerò che il vento mi bagni il capo nudo.

Non parlerò, non penserò a niente:
Ma l'amore infinito mi salirà nell'anima,
E andrò lontano, molto lontano, come uno zingaro,
Nella Natura, - felice come con una donna."

Arthur Rimbaud, marzo 1870