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venerdì 12 marzo 2010

Storiella ironico-medievale (Peppinuzzo e l'amor cortese)


Così, sulla falsa (molto falsa) riga della canzone popolare medievale tempo fa buttai giù una storiella per un amico, eccola qui:


C’erano una volta, nel pacifico reame della Contea dell’Amor Perduto,

la candida pulzella Giorgette, unica figlia femmina e pupilla del Gran Duca Bianco,

e il coraggioso cavalier Peppinuzzo, settimo di un’ampia figliata plebea,

distintosi nelle arti guerresche per onore e signorilità.


«Oh, ecco che il mio cavaliere giunge a conquistar l’amor cortese!»

Gaudio e tripudio!!! udite udite popolo, una storia mai vissuta in quel paese…


Si conobbero che eran fanciulli erranti per campi di grano,

ma l’età era troppo tenera anche solo per prendersi per mano…

I primi audaci sguardi furono scambiati durante i balli di corte

ove il giovane Peppinuzzo s’infiltrava, sapendo di sfidare con sommo rischio la sorte.

Eran quelli balli provenienti da terre e lidi lontani, da trovatori scuri e mulatti:

all’“un dos tres” nessuno poteva star fermo e tutti si scatenavan come matti!

Questo era lo sfondo in cui i due giovani amanti presto s’appartarono nelle torri del castello

ma nulla successe, perché al fiero cavaliere non funzionò l’augello…

Ecco che dunque della bianca dama non colse la rosa

quando egli s’accinse per chiederla come sposa!

Giacchè ella non potea arrischiarsi a sposare un’amante mal funzionante,

presto si precipitò da una chiromante.

Questa le disse «figliola, orsù non indugiare,

a nulla serve disperare,

troveremo una soluzione adeguata

poiché del condottiero siete innamorata.

Ecco dunque la mistica pozione

che al suo augello farà tornare l’e…one».

Preoccupata, Gorgette raccolse tutte le erbe mediche

e chiese consiglio pure alle monache.

La madre badessa e tutta l’abbazia

le furon vicine in questa sua peripezia.

Ecco che, dunque, somministrò a Peppinuzzo l’intruglio

prima di addormentarsi con lui nel caldo giaciglio.

Ma, ahimè, questi proprio non ne voleva sapere di migliorare la situazione,

e per la dolce dama questa era una tortura, peggio dell’Inquisizione!

Tornò dalla chiromante, che le disse, leggendo le carte,

«sposate pure quell’uomo dal cuore caldo e forte

ma ricordate che per lui indosserete un cinturone

la cui chiave avrà un sol padrone,

ecco quindi che l’unica soluzione

sarà della chiave più d’n doppione!»

Passarono gli anni e la dama bianca era sempre molto giuliva

poiché suo marito di rose la riempiva;

dopo le conquiste tornava a lei dal mare

togliendosi l’elmo ed il collare

e giù per le spalle, a mo’ dell’onde,

scorrean le sue lunghe ciocche bionde.

Amoreggiavano nelle stanze segrete del castello

lei dolce e soave, lui sì biondo e sì bello!

Ma se Gorgette erà così solare

era dovuto al fatto che si lasciava sollazzare…

ogni qual volta Peppinuzzo era in guerra su un veliero

lei, grazie alla doppia chiave, s’intratteneva con lo scudiero.

domenica 14 febbraio 2010

rivisitazione in chiave moderna di "Via del campo"

Ascoltando "So what" di Miles Davis e ripensando agli anni universitari, mi viene in mente una cosa che avevo scribacchiato diverso tempo fa, una mattina durante una lezione in via gianturco...

E' solo una personale rivisitazione, un omaggio allo zio.

...Che secondo me oggi avrebbe visto questo:


Via del campo c’è una graziosa

gli occhi stanchi e nessuna voglia

tutta notte cammina spoglia

svende a cani e non sarà mai sposa


Via del campo c’è una bambina

labbra secche e gola assetata

occhi tristi dietro la grata

scalcia i sassi mentre cammina


Via del campo c’è una puttana

gli occhi stanchi e nessuna voglia

se di possederla ti vien la voglia

basta accostare lì piano piano


Ma non ti sembra per nulla strano

che lei ti parla senza sorriso

un’altra lingua e un pugno in viso

una farfalla che muore piano


Via del campo ci va un illuso

a pagarla per farsi male

senza vedere lacrime e sale

di un ennesimo e cieco abuso


Taci e soffri ché amor non risponde

muori dentro perché non ti sente

questa vita non ti da niente, ogni giorno muoiono i fior

questa vita non ti da niente, ogni giorno appassiscono i fior

martedì 17 novembre 2009

Me ne andavo da Roma

L’altra sera, dopo il teatro (bellissimo “Filumena Maturano”), volevo andare al famigerato ‘Anticaja e Petrella’ -quale romano non ha nel proprio vocabolario questo modo di dire quando vuole intendere una cosa ormai desueta e vecchia??- storico rigattiere in v. monte della farina, che ho avuto l’onore di vedere, ma solo di giorno e mai di notte, quando apre la saletta del jazz. In più il locale era sede di un’associazione che insegnava ai detenuti e ai portatori di handicap il mestiere del restauratore. Riabilitava insomma. Nel migliore dei casi insegnava l’umanità aprendo scorci di vita vera, umile.

MA, cosa è successo? scopro che in estate il locale è andato sotto sfratto, perché reclamato dal proprietario dell’immobile: il Vaticano. E vengo anche a sapere che poco dopo il proprietario, Enzo, è morto.






Vi consiglio di dare un’occhiata a queste brevissime interviste dei vari personaggi che animavano il luogo, e più in generale, la Roma che la nostra generazione per un pelo non ha conosciuto:

http://www.youtube.com/watch?v=01AdwPTVta4&feature=player_embedded

http://www.youtube.com/watch?v=poBY23XGUIY&feature=player_embedded

http://www.youtube.com/watch?v=XDHLnO4Twco&feature=player_embedded

http://www.youtube.com/watch?v=0P1ZNcsLRUM&feature=player_embedded

Niente ‘Anticaja’ l’altra sera, un pensiero amaro nel vedere il grande cartello di chiusura definitiva dietro quella porticina alle spalle del teatro Argetina. Allora volevo andare a prendere una cioccolata in quel vecchio bar stretto e lungo davanti ai binari del tram…ma scopro che da chissà quanto quel bar non c’è più, e che al suo posto c’è un esercizio tenuto da cinesi.

A ripensarci mi sale proprio un conato di vomito per tutto quello che giorno dopo giorno continuiamo a perdere: vendendo perle ai porci o regalandole con tanto di reverenza. Bah!

Mamma Roma, ‘rugantina’, persa nei ricordi di si Pasolini e di Sordi..

e Nonna Italia, trattata come una zoccolaccia di periferia.

Difesa da quei pochi che ancora resistono e si scagliano “contro l’arroganza di un Potere che sembra aver perso ogni senso della misura e anche quello del decoro” (Montanelli, ’94)

Roma, “questa città, sebbene grande, non sembra affatto una capitale” (C. de Brosses, 1739), oggi potremmo dire: “questa capitale, sebbene grande, non sembra affatto una città”.

Volto reso irriconoscibile dal passo schiacciante della globalizzazione. E lo fa non solo con i grandi solchi dei sistemi infrastrutturali e architettonici, ma inghiottendo nel buio del nulla tutti i LUOGHI che da sempre hanno puntinano la città con le loro storie e le loro emozioni.

Benvenuti nell’era dei non-luoghi e delle cattedrali nel deserto.

Anche io, forse, me ne andrò da Roma, magari temporaneamente, per vedere cosa c’è fuori e per disintossicarmi da questa mamma così imborghesita, imbellettata, sbruffona…poraccia, falsa, inzozzata.

Bene spiegata nelle parole della canzone di Remo Remotti (attore, pittore e scrittore italiano, nonché scultore, poeta, cantante, umorista e drammaturgo).

<<Me ne andavo da quella Roma puttanona, borghese, fascistoide, da quella Roma del “volemose bene e annamo avanti”, da quella Roma delle pizzerie, delle latterie, dei “Sali e Tabacchi”, degli “Erbaggi e Frutta”, quella Roma dei castagnacci, dei maritozzi con la panna,

senza panna, dei mostaccioli e caramelle, dei supplì, dei lupini, delle mosciarelle…
Me ne andavo da quella Roma dei pizzicaroli, dei portieri, dei casini, delle approssimazioni, degli imbrogli, degli appuntamenti ai quali non si arriva mai puntuali, dei pagamenti che non vengono effettuati, quella Roma degli uffici postali e dell’anagrafe, quella Roma dei funzionari dei ministeri, degli impiegati, dei bancari, quella Roma dove le domande erano sempre già chiuse, dove ci voleva una raccomandazione…

Me ne andavo da quella Roma dei pisciatoi, dei vespasiani, delle fontanelle, degli ex-voto, della Circolare Destra, della Circolare Sinistra, del Vaticano, delle mille chiese, delle cattedrali fuori le mura, dentro le mura, quella Roma delle suore, dei frati, dei preti, dei gatti…
Me ne andavo da quella Roma degli attici con la vista, la Roma di piazza Bologna, dei Parioli, di via Veneto, di via Gregoriana, quella dannunziana, quella barocca, quella eterna, quella imperiale, quella vecchia, quella stravecchia, quella turistica, quella di giorno, quella di notte, quella dell’orchestrina a piazza Esedra, la Roma fascista di Piacentini…

Me ne andavo da quella Roma che ci invidiano tutti, la Romacaput mundi, del Colosseo, dei Fori Imperiali, di Piazza Venezia, dell’Altare della Patria, dell’Università di Roma, quella Roma sempre con il sole -estate e inverno- quella Roma che è meglio di Milano…
Me ne andavo da quella Roma dove la gente pisciava per le strade, quella Roma fetente, impiegatizia, dei mezzi litri, della coda alla vaccinara, quella Roma dei ricchi bottegai: quella Roma dei Gucci, dei Ianetti, dei Ventrella, dei Bulgari, dei Schostal, delle Sorelle Adamoli, di Carmignani, di Avenia, quella Roma dove non c’è lavoro, dove non c’è una lira, quella Roma del “core de Roma”…
Me ne andavo da quella Roma del Monte di Pietà, della Banca Commerciale Italiana, di Campo de’ Fiori, di piazza Navona, di piazza Farnese, quella Roma dei “che c’hai ‘na sigaretta?”, “imprestami cento lire!”, quella Roma del Coni, del Concorso Ippico, quella Roma del Foro che portava e porta ancora il nome di Mussolini,

Me ne andavo da quella Roma dimmerda!

Mamma Roma: Addio!

…e poi ce so’ tornato!>>

mercoledì 11 novembre 2009

Per Andrea

È già domani,
pensi a chi è al chek-in con lo zaino in spalla, a chi scruta il mondo da un finestrino lontano, a chi ha l’orologio in un altro fuso, chi si starà addormentando in un letto di fortuna, a chi starà baccagliando in un’altra lingua. Pensi a chi ti pensa…e a chi non ti pensa.
È già domani, l’alba di un altro cambiamento.
Non so se ci vuole più incoscienza o più palle quadrate…mah, credo un buon mix dei due.
Ammiro il coraggio e la caparbietà… la fermezza e la passione, l’istinto e la ragione, la rabbia e l’amore.
Ah che sarà che sarà… come direbbe Fossati “sta nella natura nella bellezza…quel che non ha ragione ne mai ce l'avrà, quel che non ha rimedio ne mai ce l'avrà, quel che non ha misura. Ah che sarà che sarà, che vive nell'idea di questi amanti, che cantano i poeti più deliranti, che giurano i profeti ubriacati, che sta sul cammino dei mutilati e nella fantasia degli infelici, che sta nel dai e dai delle meretrici, nel piano derelitto dei bambini…”
Bisogna essere curiosi e buoni con gli altri ‘viaggianti’, in una ricca osmosi col ‘nuovo mondo’, ma bisogna anche essere scaltri come lupi, quando ci si distacca dal branco (non)protetto nel quale abbiamo imparato a crescere.
Certo, non si fa in tempo ad affezionarsi, che la gente ti sfugge tra le mani… sempre, in continuazione, in mille modi differenti: ha il dannato vizio di stravolgerti i piani. Ma guarda un po’. A volte ci si chiede se a lasciarci un punto interrogativo sia più la partenza degli altri o il proprio (apparente) rimanere fermi. Beh, non è che vuoi cristallizzarla, vorresti solo trattenerla ancora un pochino, avere ‘tempo di’… quel tempo che è destinato per sua natura a non arrivare mai, ma che rende prezioso il presente. Sarà un altro tempo a rincontrarci, un altro sguardo, lo stesso viso.
Ad ogni modo sono contentissima di questa tua partenza, e sto tranquilla che tanto l’ammiraglio Nelson ti indicherà la strada.
È già domani, e un po’ parto anche io.
Ti troverò in quel baretto: “idealmente mi trovi lì e tutto intorno le cose sono state fatte bene per fare stare bene me e tutti gli altri.” Ci sono anche io, mi vedo: tavoli e sedie in ferro battuto su prato all'inglese e l'obbligo di lasciare fuori le scarpette. 'E lei Signorina?' 'Io? un passito di pantelleria, grazie'.

Buon viaggio amico mio, see ya soon

“per chi viaggia in direzione ostinata e contraria, col suo marchio speciale, di speciale disperazione, e tra il vomito dei respinti muove gli ultimi passi, per consegnare alla morte una goccia di splendore, di umanità, di verità”